Il Fatto Quotidiano – Psicoterapia, quando la disabilità può “curare” la normalità.

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Psicoterapia, quando la disabilità può “curare” la normalità.

di Ruggero Piperno | 6 febbraio 2013

La psicoterapia funziona in quanto esperienza relazionale, ma esistono altre forme di relazione sociale potenzialmente evolutive e trasformative, come l’amicizia, la solidarietà e la partecipazione. Oggi queste sono un po’ in crisi, con il pericolo di far subentrare una sorta di apatia diffusa che può favorire il degrado delle istituzioni, in primis quelle sanitarie. I manicomi e i vecchi istituti per persone disabili, alimentati dal circolo vizioso disinteresse sociale/invisibilità istituzionale, rimangono il simbolo più evidente della sopraffazione che prende il posto della cura (consiglio un piccolo ma prezioso libro, a cura di F. e F. Basaglia, Morire di Classe, la condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Einaudi 1969). Oggi molti, ma ancora troppo pochi, luoghi di cura hanno invertito la rotta e propongono la trasparenza, non solo per migliorare il proprio servizio, ma anche come tentativo di intervento sociale. Due proposte concrete che vanno in questa direzione e che penso possano essere di aiuto a chi le accetta. La prima si chiama LoÏcanda , da casa LoÏch, associazione che gestisce l’omonimo centro diurno che l’ha promossa. Un “ristorante” nella campagna di Capena che apre una domenica al mese in un posto veramente ameno, perché la bellezza fa parte della filosofia di cura, gestito, da una cuoca, Gabriella volontaria e bravissima, e da Vit, Chiara, Roberta, Sergio, Enrico, Francesco, ragazzi simpaticissimi ma con un po’ di problemi, e dai ragazzi del servizio civile. Fabrizio, ex skipper, che ha preferito navigare nei mari dell’integrazione sociale piuttosto che nella solitudine degli oceani, coordina il progetto. Gli ospiti a fine pranzo danno un contributo libero in una scatola che Roberta fa passare tavolo per tavolo, assai orgogliosa del suo ruolo. Cinquanta coperti quasi sempre al completo. Quindi bisogna prenotare, ma ne vale la pena, sia per come si mangia, che per fare questa esperienza in un ambiente lieve e piacevole,  dove si possono rivedere molti pregiudizi. E-mail: ass.loic@tin.it, oggetto, Loicanda.

Altra proposta che può aiutare ad abbandonare le proprie idiosincrasie nei confronti della disabilità è un progetto che l’Opera don Calabria di Roma porta avanti dal 2004, “Emarginiamo l’emarginazione”, per sensibilizzare, con molte iniziative, le persone ai problemi del disagio psichico. L’Opera don Calabria propone un modello di assistenza, unico a Roma perché riesce a far convivere turisti, ragazzi appartenenti alle scolaresche di tutta Europa, studenti che vengono da tutte le parti del mondo, religiosi, suonatori di fisarmonica, saltimbanchi ossessivi, e altre persone francamente problematiche. Tutta questa variegata umanità si riunisce quotidianamente a mensa, rallegrata da un clima familiare ricco e vivace e da un cibo ottimo, grazie a Roland, un cuoco albanese d’eccezione. Chiunque voglia partecipare, anche con uno o due amici, è invitato a pranzo, sarà molto gradito, troverà una calorosa accoglienza e una persona dedicata a lui. Per essere inseriti nella mailing list del progetto e ricevere le varie iniziative, basta mandare la propria e-mail a info@operadoncalabtria.it, oggetto:”emarginiamo l’emarginazione”, per essere invitati a pranzo telefonare dalle 9 alle 13 allo 066274894 (chiedere di Daniela) oppure attraverso e-mail stesso indirizzo.

Schermata

Disabilità intellettiva: imparare a lavorare

image001Disabilità intellettiva: imparare a lavorare

Intervista a Carlo Lepri a cura del Gruppo Solidarietà

In una situazione come quella attuale, dove in nome della “sostenibilità economica”, si tagliano ripetutamente i servizi e i sostegni, mettendo in discussione diritti fondamentali, compreso quello del lavoro, approfondiamo una serie di questioni con chi, come Carlo Lepri, ha acquisito un’esperienza ormai ultratrentennale in àmbito di inserimento lavorativo delle persone con disabilità intellettiva

downPsicologo e formatore, docente a contratto nell’Università di Genova, Carlo Lepri – che ha acquisito un’esperienza ultratrentennale in materia di inserimento lavorativo delle persone con disabilità, prevalentemente di tipo intellettivo – ha partecipato qualche mese fa al seminario di Jesi (Ancona), denominato Lavoro e disabilità intellettiva. È così difficile?, incontro organizzato dal Gruppo Solidarietà, che lo ha intervistato su alcuni temi approfonditi anche durante quello stesso seminario, al quale avevamo dato a suo tempo ampio spazio.

Nell’incontro dello scorso anno a Jesi, lei hai affermato che «l’essere adulti è il tema ed il lavoro è uno strumento per vivere questa condizione. Non il contrario». Ci aiuta a capire meglio?
«Nella mia attività professionale mi sono occupato prevalentemente di inserimento lavorativo di persone con una difficoltà di funzionamento di tipo intellettivo. Come è noto, uno dei tratti caratteristici di questa “categoria”, accanto ai deficit cognitivi, è quella di presentare una certa immaturità relazionale. Si tratta di quella caratteristica che per molto tempo ha fatto sì che si pensasse a queste persone come a degli “eterni bambini”, dei “Peter Pan” da accudire in luoghi appositamente dedicati a loro. I processi di integrazione scolastica e nel mondo del lavoro hanno dimostrato invece che nel momento in cui cambiano i contesti, cambiano anche le aspettative verso le persone e con esse le rappresentazioni che noi abbiamo della disabilità. Nello specifico ci siamo resi conto che anche le persone con disabilità intellettive possono diventare adulte e non solo anagraficamente. Quindi, poter vivere una vita adulta, con i diritti e i doveri che questo comporta, è diventato un obiettivo possibile anche per queste persone.
Come sappiamo, il lavoro è uno dei mezzi che caratterizzano la vita delle persone adulte. Esso offre autonomia economica, ma è anche un potente strumento identitario e di socializzazione. Questo è vero in generale e lo è a maggior ragione per persone che possono avere qualche difficoltà aggiuntiva proprio sul piano della identità e delle relazioni sociali. Tuttavia il lavoro è uno strumento per accedere a questa condizione di adultità e non può trasformarsi nel fine. Ciò significa che non possiamo proporre percorsi lavorativi in modo generalizzato poiché in alcuni casi il lavoro potrebbe non essere coerente con i bisogni di una persona disabile. In più il lavoro non può essere proposto in modo “astorico” a una persona. Occorre infatti che la possibilità di “diventare grande”, attraverso il lavoro faccia parte di un progetto educativo che deve avere inizio prima possibile».

Lei dice che per le persone con disabilità intellettiva non si tratta tanto di imparare un lavoro ma di imparare a lavorare. Perché e come si riesce ad “imparare a lavorare”?
«In effetti su questi temi, a volte, si commettono errori grossolani. Ovviamente si tratta di una distinzione molto schematica poiché questi due processi, imparare a lavorare e imparare un lavoro, sono sempre intimamente connessi. E tuttavia, mentre l’imparare un lavoro fa riferimento all’apprendimento di una serie di compiti spesso riducibili a delle sequenze operative, imparare a lavorare fa riferimento a qualcosa di più complesso, che ha a che vedere con la capacità di “introiettare” il ruolo lavorativo. In altre parole alla capacità di fare proprie, di “mettersi dentro”, tutta una serie di regole, norme, criteri che hanno a che vedere con ciò che gli altri si aspettano che io faccia in quel contesto lavorativo. Quello che in termini tecnici viene definito come il role taking, cioè proprio la capacità di assumere il ruolo lavorativo. Questo apprendimento può essere particolarmente complesso, soprattutto se una persona non è stata abituata a confrontarsi con i ruoli e con le aspettative che li accompagnano».

down2 Carlo Lepri

L’esperienza genovese del Centro Studi dell’ASL 3 ha sostanzialmente fatto nascere i Servizi di Integrazione Lavorativa (SIL) in Italia. Il radicale cambiamento del mondo del lavoro, che ripercussioni ha avuto e ha sul lavoro dei SIL?
«Credo che l’esperienza genovese, anche grazie all’azione di Enrico Montobbio, abbia avuto due meriti. Il primo è quello di avere proposto unametodologia innovativa e di averla sperimentata con coraggio. Dico con coraggio perché ricordo che quando abbiamo avviato le prime esperienze, la Legge 482/68 [“Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private”, N.d.R.], allora vigente, prevedeva espressamente che le persone con disabilità psichica e intellettiva non potessero essere inserite al lavoro. La nostra azione, per lungo tempo, è stata pertanto “ai margini”, se non “contro” la legge. E questo mi pare dimostri ancora una volta che le cose veramente innovative nascono sempre da una qualche deviazione dalla norma.
Il secondo è quello di aver cercato di mantenere una memoria di ciò che si facevaattraverso la pubblicazione di saggi e di libri. Ciò ha dato una certa visibilità al nostro lavoro e per un lungo periodo l’esperienza di Genova è stata al centro dell’attenzione sia a livello nazionale che internazionale. Alcuni di noi hanno così contribuito, attraverso l’attività formativa, alla nascita di numerosi Servizi di Integrazione Lavorativa in diverse parti del nostro Paese. Questi Servizi, attraverso la loro azione, sono stati dei precursori nell’attuazione del “collocamento mirato e mediato” che, com’è noto, è oggi alla base della Legge 68/99, dimostrando concretamente l’efficacia di questo principio.
Oggi, i cambiamenti nel mondo del lavoro a cui stiamo  assistendo – o forse sarebbe più corretto dire che stiamo subendo – stanno avendo numerose ripercussioni anche sull’azione dei SIL. Mi limito ad indicare due aspetti: uno qualitativo e l’altro quantitativo.
Sul piano qualitativo stiamo assistendo a un’impressionante delocalizzazione dei siti produttivi tradizionali, con l’eliminazione o lo spostamento in altri Paesi di gran parte della produzione labour intensive. Questo penalizza molto le persone disabili che proprio in questo tipo di lavori trovavano una loro collocazione più agevole. L’altro aspetto, banalmente quantitativo, è legato al fatto che il lavoro scarseggia sempre di più, mettendo tra l’altro in concorrenza tra loro soggetti appartenenti a diverse fasce deboli.
In questo difficile scenario, l’unico elemento rassicurante è che le metodologie messe a punto dai SIL, sia in termini di strumenti di mediazione che di sostegno psicoeducativo, risultano davvero efficaci. Quando possono essere attuate».

Crede che la Legge 68/99 abbia un po’ tradito le aspettative che in essa erano state riposte?
«Personalmente credo di no. Continuo a pensare alla Legge 68/99 come a una buona legge. Il problema semmai riguarda la sua piena applicazione. Sappiamo che esiste un’applicazione cosiddetta “a pelle di leopardo”. In alcune Regioni  è stato fatto uno sforzo importante di messa in rete dei servizi già esistenti prima della 68 e di attivazione dei servizi mancanti. Il tutto creando un sistema che garantisse, allo stesso tempo, servizi alle persone disabili e servizi alle aziende sottoposte agli obblighi. Laddove si è fatto questo, i risultati non sono mancati. Dove, invece, le persone disabili e le aziende non sono sostenute e non si facilitano i processi di mediazione, può accadere che la legge venga disattesa oppure che si preferiscano pagare le multe. Ma ciò non mi pare sia imputabile alla struttura della legge quanto, appunto, alla sua applicazione concreta.
Direi infine che – grazie agli ampi margini nell’individuazione delle persone disabili da assumere che la legge riconosce alle aziende – sempre più vengono inserite “categorie” specifiche di disabilità. E questo mi sembra un problema poiché nonostante nella legge siano presenti alcuni facilitazioni per le aziende che assumono persone con una “disabilità complessa” queste “doti” non sembrano sufficienti per garantire l’inserimento lavorativo anche a persone con maggiori difficoltà. Ma su questo aspetto alcuni SIL hanno messo a punto sperimentazioni interessanti che in alcune Regioni hanno già trovato importanti supporti sul piano istituzionale».

Carlo Lepri è psicologo e formatore, oltreché docente a contratto nell’Università di Genova. La presente intervista è l’estratto, con lievi riadattamenti, di un più ampio servizio apparso nel numero 1/2013 di«Appunti sulle Politiche Sociali», periodico del Gruppo Solidarietà, alla cui redazione rimandiamo gli interessati alla versione integrale (grusol@grusol.it).

5 febbraio 2013
Ultimo aggiornamento: 6 febbraio 2013 12:49

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SESSO e DISABILITA’ – Firma la Petizione sull’ASSISTENZA SESSUALE

sessoMEDIAevo n. 20 – Dal sito di Repubblica rimbalza la campagna cui ha aderito anche l’Associazione Luca Coscioni, attivissima a tutela dei diritti dei malati e dei disabili. Voi che ne

pensate? In Olanda è addirittura a carico del servizio sanitario nazionale. Siete favorevoli o contrari all’assistenza sessuale alle persone con disabilità? Votate il sondaggio qui in calce.
“L’assistenza sessuale alla persona affetta da disabilità in Italia, a differenza di altri paesi europei, resta un argomento tabù.
Ora però una petizione spinge perché si apra un dibattito sereno che, aldilà delle polemiche, possa portare a proposte concrete e soluzioni legislative per i disabili italiani.
L’iniziativa della sottoscrizione online è stata lanciata a novembre da Max Ulivieri, web designer con una grave disabilità: “In poco più di due mesi – dice il promotore – , e senza nessuna pubblicità, si sono già raccolte circa 1.500 adesioni alla proposta di istituire, anche nel nostro Paese, la figura dell’assistente sessuale”.
Ad aderire all’appello in rete (firmiamo.it/assistenzasessuale) sono state in maggioranza persone comuni, senza alcun handicap e che hanno semplicemente sposato la causa.
L’argomento è delicato e si presta a facili strumentalizzazioni perché nell’opinione pubblica passa facilmente l’equiparazione fra l’assistenza sessuale e la prestazione sessuale fornita da terzi.
In realtà, spiegano i promotori dell’iniziativa, si configura come una pratica soprattutto relazionale, empatica e comunicativa che risponde a un problema reale dei disabili. “Le pulsioni sessuali costantemente represse e impedite nella loro manifestazione, sia autonoma sia relazionale – si legge nella petizione – si risolvono infatti in un costante e ossessivo stress psichico che affligge non poco l’esistenza di chi non ha autonomia nell’uso del proprio corpo. Determinate forme di disabilità, rendono impossibile l’uso delle mani, quasi tutte le forme di disabilità rendono difficoltosa, se non impossibile, l’interazione fisica e sessuale con partner adeguati, più spesso con qualunque tipo di partner consenziente”.
Di tutto questo, finora, in Italia non si è parlato, mentre in alcuni paesi europei la figura dell’assistente sessuale esiste e a volte è disciplinata dalla legge. “In Svizzera, Danimarca, Olanda, Svezia e Germania – spiega Ulivieri – ci sono associazioni che si occupano di questo tipo di assistenza. Addirittura in Olanda il servizio è a carico del servizio sanitario nazionale”.
“L’assistenza sessuale a persone con disabilità – precisa Ulivieri – è praticata da operatori volontari che hanno seguito dei corsi in ambito medico, sessuologico, etico e psicologico e che hanno sviluppato una grande sensibilità verso gli altri. Una terapia vera e propria rivolta al benessere psicofisico di persone che, per un motivo o per l’altro, si trovano a non essere autonome nell’espressione dei propri bisogni di tipo sessuale e, in senso lato, erotico-affettivi. Persone che possono riscoprire il proprio corpo come fonte di piacere e non solo di sofferenza e di disagi quotidiani, attraverso il contatto, le carezze, il massaggio, gli abbracci, i giochi erotici o anche semplicemente la presenza, l’affetto e l’umanità”.
Si tratta quindi di un’assistenza specializzata nella quale, sottolinea Ulivieri, due requisiti sono fondamentali: “L’assistente oltre ad avere uno spiccato senso dell’altruismo, deve certamente avere una grande apertura mentale. Va detto – precisa Ulivieri – che l’assistenza sessuale non prevede rapporti completi”. L’iniziativa deve comunque fare i conti con la realtà italiana e il problema più grosso in partenza sembrano appunto i tratti in comune con la prostituzione. “In Italia – ricorda Max Ulivieri – la prostituzione è illegale. Anzi, per essere più precisi, il favoreggiamento della prostituzione è fuorilegge. Ecco perché c’è assoluto bisogno di istituire con regole certe questo tipo di assistenza”.

Dopo la petizione online, che resta un’iniziativa privata, il prossimo passo sarà l’istituzione di un comitato per la raccolta ufficiale delle firme, da consegnare alle istituzioni. “I primi referenti – ipotizza Uivieri – potrebbero essere le Regioni”. Intanto si lavora per trovare sostegno e testimonial: “Al momento – conclude Ulivieri – possiamo già contare su un’attrice, due scrittori e quattro noti conduttori tv”. Fonte: http://www.Repubblica.it, accesso delle h.20 del 28 gennaio 2013.

Per firmare la petizione:

www.firmiamo.it/assistenzasessuale

L’assistenza sessuale alla persona affetta da disabilità fisica o mentale nasce per permetterle di fruire di una pratica necessaria, più spesso indispensabile, al suo benessere psicofisico. Le pulsioni sessuali costantemente represse e impedite nella loro manifestazione, sia autonoma sia relazionale, si risolvono in un costante e ossessivo stress psichico che affligge non poco l’esistenza di chi non ha autonomia nell’uso del proprio corpo.

Determinate forme di disabilità, rendono impossibile l’uso delle mani, quasi tutte le forme di disabilità rendono difficoltosa, quando non proibitiva, l’interazione fisica e sessuale con partner adeguati, più spesso con qualunque tipo di partner consenziente.

L’assistenza sessuale si configura come una pratica soprattutto relazionale, empatica e comunicativa. Attraverso il periodo in cui si svolgerà la sessione d’incontro tra la persona che lo richiede e l’assistente, il fulcro dell’interesse sarà nello stabilire un rapporto empatico.

Quello che l’assistente debitamente preparata deve riuscire a trasmettere all’altro è innanzitutto l’accettazione del suo corpo attraverso l’esplorazione manuale, l’accarezzamento, il massaggio.

Concedere un momento di profondo benessere e attenzione all’altro inteso nella sua dimensione olistica, globale: l’uso delle mani sarà accompagnato dalla voce, da musica, dal racconto.

L’assistenza viene non a caso definita sessuale. Il che significa che il corpo sarà preso in considerazione nella sua interezza. L’area genitale, generalmente la più trascurata nelle pratiche di massaggio e quella trattata con più distacco o imbarazzo in chi assiste la persona disabile nelle sue funzioni corporali quotidiane, sarà al centro di particolare attenzione e manipolazione, al fine di rimuovere tensioni e pulsioni concentrate e dannose che solitamente si manifestano come interesse ossessivo verso il sesso e l’area genitale in tutti quei casi in cui non trovino modo di essere canalizzate per molto tempo.

L’assistenza sessuale non prevede alcuna tipologia di contatto a rischio contagio, scambio di fluidi né penetrazione. La sfera sessuale è approcciata attraverso lo scambio emozionale e comunicativo, il sentimento dell’accettazione del corpo, la conduzione all’apice del piacere sessuale attraverso le mani.  La durata indicativa della sessione d’incontro è un’ora e mezza.”

Il nostro gruppo su facebook “Assistenza Sessuale”. E’ una scelta.

ALCUNI COMMENTI:

Daniele Terriaca Condivido pienamente…è importante garantire il piacere per una buona qualità di vita.

12 minuti fa – Rispondi
STEFANO MARCHICA mi sembra giusto, ma dovrebbero essere volontari
40 minuti fa – Rispondi
 Alessandro Roggi Fare sesso è un diritto per ogni essere umano
circa un’ora fa – Rispondi
 Stefano Casalone perchè siamo tutti esseri umani, in tutto, anche chi ha di meno!
circa un’ora fa – Rispondi
 Angelo Grazzini Indispensabile.
circa un’ora fa – Rispondi
 Marcella Hitsugaya Più che giusto. Doveroso e necessario. Aderisco con entusiasmo perché anche questa è una battaglia per la dignità umana che non può e non deve essere calpestata!!
circa un’ora fa – Rispondi
 Paolo Ottomano Sarebbe bello che ci fosse assistenza e soprattutto educazione e informazione anche per chi non è disabile, dato che i rapporti cominciano quando siamo ancora adolescenti spacconi e disinformati 😀
circa un’ora fa – Rispondi
 Sergio Di Folca è cosa buona e giusta
4 ore fa – Rispondi
 Luisella Sole Poter fare sì che il corpo non sia solo oggetto di accudimento e cura medica e fisioterapica, ma anche sfiorato e toccato da mani affettuose e calde (sia pure per lavoro) credo sia positivo e bello per ognuno, malato disabile o semplicemente vecchio. D’altra parte da tempo la figura di assistente sessuale da anni esiste negli Stati limitrofi… Mi sono letta il programma formativo che applicano in Svizzera; è di tutto rispetto, per un numero rilevante di ore. Credo infatti che queste persone devano essere ben preparate anche psicologicamente, oltre che sessuologicamente.
leri alle ore 9:59 – Rispondi
 Marco Busilacchi mi sembra un’iniziativa giusta e civile
Sabato alle 23:09 – Rispondi
 Jessica Passanisi E’ facile mettere una firma e sostenere l’iniziativa nei panni di una persona “normodotata”(termine odiosissimo ma purtroppo comunichiamo per codice linguistico e questi sono i portatori di significato), io la metto nella piena consapevolezza che a tutti potrebbe succedere di non esser più autosufficienti o di essere a contatto con chi non lo è più, la mia è una firma che riflette l’assoluto sostegno non ipocrita o pervaso di spirito caritatevole. Firmo non solo per le persone affette da disabilità fisica o mentale, ma anche per me!
Sabato alle 19:16 – Rispondi
 Aniello Manfellotti È giusto
Sabato alle 6:39 – Rispondi
 Michela Abis un diritto è un diritto se lo è per tutti!
Venerdì alle 21:04 – Rispondi
 Giacomo Andrei L’assistenza sessuale. Un’altra battaglia di civiltà…
Venerdì alle 19:36 – Rispondi
 Diego Monselice è un bisogno primario dell’essere umano. Normalità è anche poter soddisfare questo bisogno, e chi non lo può fare da solo…?
Venerdì alle 16:44 – Rispondi
 PASQUALE PAOLI sono d’accordo
Venerdì alle 15:49 – Rispondi
 Stefania Cinci sacrosanto!!!
Venerdì alle 14:31 – Rispondi
 ALBERTO ALDEGHI Credo che sia necessario perchè la sessualità è un aspetto fondamentale della vita di ciascuno di noi e non ci si può più nascondere dietro falsi moralismi e falsi pudori. Firmo con convinzione!
Venerdì alle 13:03 – Rispondi
 Nicola Bianchi Un atto di civiltà. Grazie per esservi messi in moto!!! (Nicola B., Firenze)
Venerdì alle 11:28 – Rispondi
 Debora Priori E’un grande gesto di solidarità
Venerdì alle 8:36 – Rispondi
 Lucio Bertè Sono convinto che risponda ad una esigenza umana fondamentale che la famiglia non può o non riesce ad assolvere per un tabù che porta a rimuovere il problema e a negare la sessualità del congiunto disabile,lascandogli irrisolta una sofferenza per una deprivazione sensoriale fondamentale,quale è quella del piacere sessuale come risultato del rapporto intimo con l’altro da sè, per uno sviluppo dell’affettività equilibrato e fondante di ogni vera e possibile integrazione sociale. La mancanza di questo aspetto credo sia la principale causa della percezione dolorosa della propria diversità ed esclusione dalla vita. Risultano falsati tutti i rapporti con i famigliari che – nonostante assolvano in tutto o in parte altre funzioni vitali – vengono vissuti come coloro che scoraggiano,ostacolano, impediscono, negano la sua legittima ricerca del piacere, anche reprimendolo e inducendo in lui sensi di colpa,e spingendolo a vivere la sua pulsione naturale come ossessione. Dunque occorre anzitutto persuadere le famiglie che questa assistenza è fondamentale per riequilibrare i rapporti affettivi tra i suoi membri e soprattutto per il bene del loro congiunto,per lo sviluppo delle sue relazioni sociali tanto nell’immediato quanto nella prospettiva che preoccupa principalmente i genitori, quella del momento in cui loro verranno a mancare.
Venerdì alle 8:03 – Rispondi
 Ulivieri Maximiliano Grazie Lucio per il sentito commento.
Venerdì alle 9:52
 Raffaella Mastroianni è cosa buona e giusta!!!
Giovedì alle 22:21 – Rispondi
 Cristina Mancini per alcuni tipi di disabilità è indispensabile e aiuta a vivere megli
Giovedì alle 22:19 – Rispondi
 Giuliano Lombardi mi sembra giustissimo
Giovedì alle 22:16 – Rispondi
 EMANUELE FANELLI Ho prestato servizio anni fa presso un centro diurno per disabili e confermo che il contatto fisico era uno degli aspetti più ricercati e importanti nella relazione con loro. qui si va oltre, ma naturalmente ci si deve e ci si vuole rifere a situazioni di piena consapevolezza e consenso dei soggetti disabili.
Giovedì alle 21:36 – Rispondi
 Ulivieri Maximiliano Grazie Emanuele.
Venerdì alle 9:53 Mena Nunziata penso ke ognuno debba avere la scelta di decidere ogni uomo ha diritto di decidere cosa fa + bene al proprio corpo la mente,sono favorevole
Giovedì alle 19:18 – Rispondi
Max Freschi mi sembra giusto e democratico
Giovedì alle 15:44 – Rispondi Mario Frusi per la dignità di chi già soffre a causa di una disabilità
Giovedì alle 15:12 – Rispondi
 Sandro Barone Aderisco.
Giovedì alle 14:57 – Rispondi Alessandra Panaro un atto di civiltà doveroso..
Giovedì alle 14:55 – Rispondi
Michele Passarelli aderisco volentieri a questa campagna per il progresso. grazie.
Giovedì alle 14:02 – Rispondi
 Matteo Micheli Mi associo completamente a questa campagna di cresita civile, sociale, morale e personale. Veramente complimenti
Giovedì alle 13:43 – Rispondi
 Paolo Nodari Non mi addentro nell’argomento ma sono d’accordo sull’iniziativa.
Giovedì alle 13:38 – Rispondi
 Sergio Schincaglia Scelta di civiltà.
Giovedì alle 11:53 – Rispondi
 Rita Pappalardo anche questo si chiama libertà
Giovedì alle 11:44 – Rispondi
 Laura Nicoletto purtroppo sono necessarie campagne come questa… speriamo che un seguito positivo sia solo il primo passo verso una trasformazione della nostra società (cioè degli individui!)
Giovedì alle 10:58 – Rispondi
 Cristiana Marzocchi Mi sembra giusto, hanno le stesse pulsione degli uomini sani. Cristiana
Giovedì alle 10:20 – Rispondi
 Giuseppe Potenza Condivido in pieno su questo argomento che è tabù in questa società perbenista. Ma temo, come con l’ altro argomento tabù che è la prostituzione, tutti lo sanno ma tutti fanno i sepolcri imbiancati.
Giovedì alle 9:20 – Rispondi
 Mario Donega condivido pienamente e sottoscrivo
Giovedì alle 8:15 – Rispondi
 Gionata Grassi Da operatore del settore non posso che sottoscrivere!
Mercoledì alle 22:21 – Rispondi
 Massimo Zumerle Grazie di avere pensato a ciò. Dio vi benedica
Mercoledì alle 21:08 – Rispondi
 Francesco Gibellieri ho un amico disabile e capisco il problema .
Mercoledì alle 21:04 – Rispondi
 Ivo Guzzinati Sarebbe ottimo ma con questa chiesa la vedo dura
Mercoledì alle 20:00 – Rispondi
 CLAUDIO BARILERO Anche questo è civiltà !
Mercoledì alle 19:35 – Rispondi
 Francesco Micheli Condivido pienamente la proposta: ritengo anche io che una figura simile possa essere di aiuto anche a molte altre persone.
Mercoledì alle 19:32 – Rispondi
 Fiorenza Colloridi Vorrei entrare in contatto con associazioni di disabili per capire se è possibile offrire la mia disponibilità per un percorso formativo come operatrice sessuale non appena venisse revisto o legalizzato o anche non legalizzato ma previsto, magari effettuando la formazione all’estero, e formalizzabile in qualche altro mondo.
Mercoledì alle 18:26 – Rispondi
 Francesco Figini Personalmente penso che sia giusta una figura cosi per tutti quanti, ma ovviamente per noi disabili lo è ancora di più dato che siamo rallentati in molte cose. Sono estremamente d’accordo con ciò! Francesco da Milano
Mercoledì alle 18:22 – Rispondi
 Bartolomeo Scalzi Affetto necessario come il pane
Mercoledì alle 17:21 – Rispondi
 Ruggero Fabri Finalmente una proposta seria, laica e soprattutto indispensabile per le persone disabili. Io ricopro il ruolo di coordinatore di un Centro per disabili a Pesaro(da tanti anni….).
Mercoledì alle 15:48 – Rispondi
 Giovanni Maniglia sono fermamente convinto che in molti casi può essere un sano toccasana e un modo di dare a questi ragazzi parte della vita che le viene negata grazie a presto
Mercoledì alle 15:01 – Rispondi
 Mate Carvutto è giusto
Mercoledì alle 14:38 – Rispondi
 Stefano Pierini Un esempio di civiltà.
Mercoledì alle 14:14 – Rispondi
 Rosa Foti Sono d’accordo sul fatto di dare a tutti gli stessi diritti ed opportunità anche sessualmente, per una qualità di vita migliore specie a chi è meno fortunato.
Mercoledì alle 13:41 – Rispondi
 Federica Oliva BASTA AL MASSACRO ANIMALE!
Mercoledì alle 13:12 – Rispondi
 Alfredo Cassano Giusta iniziativa
Mercoledì alle 12:52 – Rispondi
 Benito Ravone concordo con l’iniziativa, la reputo giusta e bilanciata. l’unica mia perplessità è il coinvolgimento emotivo del paziente…cioè, visto che nessuno gli ha mai dato “certe emozioni”, potrebbe quest’ultimo subire un innamoramento che chiaramente non sarà corrisposto? non credo che può tutto risolversi in una pratica meccanica!!! boh, forse mi sbaglio????
Mercoledì alle 12:35 – Rispondi
 Laura Caceffo L’appagamento sessuale è un diritto che riguarda ogni essere vivente:Lowen insegna!
Mercoledì alle 12:12 – Rispondi
 Romina Vivona La possibilità di provare piacere sessuale non può e non deve essere negata a nessuno. Che ben venga questa figura professionale.
Mercoledì alle 12:08 – Rispondi
 Mauro Ferraris l’argomento è veramente delicato e personale, ma farsene carico a livello collettivo rappresenta una presa di coscienza obbligatorio. Tra i mille tabù che devono essere socialmente affrontati, questo è certamente uno dei più sensibili
Mercoledì alle 12:04 – Rispondi
 Sabrina Salerno Barletta c’è.
Mercoledì alle 12:00 – Rispondi
 Sonia Lovo è una figura spesso necessaria.ottima idea.
Mercoledì alle 10:59 – Rispondi
 Mariarosa Di matteo sono d accordo è un diritto di tutti
Mercoledì alle 10:15 – Rispondi
 Erika Merola Sono d’accordo!
Mercoledì alle 8:47 – Rispondi
Stefano Valentini siamo tutti “persone”.
Mercoledì alle 7:59 – Rispondi
 Ruggero Mameli Purtroppo l’italia ignora da sempre l’esigenza di amare. In Europa non vi e’ paese piu’ retrogado che calpesta con decisione e violenza l’amore in qualsiasi forma che non sia quella dettata da vaticano, che con altrettanta decisione e violenza entra nella nostra quotidianita’ e in quella Della Repubblica, calpestando il diritto alla sovranita’. Firmiamo numerosi e facciamo si che il nostro diritto ad amare e ad essere amati finalmente prevalga. Amare, indistintamente amare. Sempre!
Mercoledì alle 5:46 – Rispondi
 Luca La ferlita È un passaggio obbligato. Un gesto di civiltà legato alla logica, all’onestà intellettuale degli individui.
Mercoledì alle 1:37 – Rispondi
 Massimiliano Sanseverinati mi sembra un’ottima proposta
Mercoledì alle 1:00 – Rispondi
 Mirco Baldini Sarebbe una scelta di civiltà.
Mercoledì alle 0:51 – Rispondi
 Marco Burini un passo verso il riconoscimento di una necessità finora negata da una classe politica “cattobigotta”. Marco
Mercoledì alle 0:43 – Rispondi
 Antonio Caridi speriamo sia fatta questa legge prima possibile queste persone non devono soffrire solo per del bigottimismo. io non oh figli disabili ma se li avrei non ci penserei 2 volte ah portarli ah mignotte se necessario ah costo di sfociare nell’illegalita perchè anno bisogni come tutti.
Mercoledì alle 0:03 – Rispondi
 Anna E Ne hanno veramente bisogno
Martedì alle 23:46 – Rispondi
 Francesco Morgante È un diritto che è stato negato fin troppo a lungo. Ora basta.
Martedì alle 22:48 – Rispondi
 Luciano Mazzucato Come sempre, il nostro paese dimostra di essere sempre agli ultimi posti nella classifica per civiltà e diritti
Martedì alle 22:37 – Rispondi
 Karen Carboni Ecco un altro passo nella mia battaglia per i diritti dei disabili. Karen Educatrice
Martedì alle 21:44 – Rispondi
 Lucia Macli LA civiltà è anche questo.
Martedì alle 20:55 – Rispondi
 Pamela Proto anche in un ambito delicato come questo, l’italia dimostra un’arretratezza patologica e vergognosa. il sesso non è altro che un’esigenza biologica come tante, così come la possibilità di instaurare una relazione affettiva o erotica con qualcuno, ed è uno dei tanti ambiti della vita in cui le persone con disabilità sono più svantaggiate. il fatto di relazionare la questione con la prostituzione dimostra, ancora una volta, l’ignoranza e la stupidità di tante persone, di cui le istituzione hanno buon gioco ad avvantaggiarsi.
Martedì alle 20:26 – Rispondi
 Francesco Gazzillo Un’iniziativa di civilta’
Martedì alle 20:12 – Rispondi
 Alessandro Luciani sarebbe molto utile………la solitudine sarebbe alleviata:-)
Martedì alle 19:25 – Rispondi
 Diego Maroni la felicità è un diritto, e ognuno deve poterla raggiungere nel modo che preferisce (nei limiti del legale, ovviamente)
Martedì alle 19:02 – Rispondi
 Roberto Robertino Un diritto.
Martedì alle 19:02 – Rispondi
 Daiana Viero tutti hanno diritto a questo infinito piacere.
Martedì alle 19:00 – Rispondi
 Giovanni Attardi E’ giusto che tutti abbiano una vita sessuale pienamente appagata e l’idea mi piace perchè rispetta anche i bisogni di chi, spesso, attraversa maggiori difficoltà in questo contesto. Ovviamente questo esiste già da tempo in paesi decisamente più sviluppati di noi a livello sociale
Martedì alle 18:50 – Rispondi
 Andrea Morelli è giusto che tutti abbiano la possibilità di sfogare le proprie pulsioni
Martedì alle 18:04 – Rispondi
 Ilaria Marzari condivido pienamente.
Martedì alle 17:53 – Rispondi
 Gianni Checchi L’Italia deve compiere grossi passi avanti su aspetti della vita finora oscurati.
Martedì alle 17:39 – Rispondi
 Abisciu Cipriani Cipriani Abisciu – massaggiatore domiciliare a Roma
Martedì alle 17:29 – Rispondi
 Salvatore Petrosino Max…che coraggio!!
Martedì alle 16:55 – Rispondi
 Alessia Arena Aiutiamo a sensibilizzare
Martedì alle 16:52 – Rispondi
 Riccardo Cavallara Onestamente non penso che servirà a qualcosa ma ho deciso di firmare la petizione. In Italia la questione è complessa, la “chiesa” e i “credenti con il cercello disattivato” condizioneranno i politici “cattolici quando fa comodo” per bloccare tutto….
Martedì alle 16:48 – Rispondi
 Fabio Gemma Aderisco!!!
Martedì alle 16:38 – Rispondi

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