Orti urbani, luoghi di terapia e esperienza di lavoro per i pazienti psichiatrici
Al Centro Diurno di salute mentale del quartiere San Paolo a Roma i pazienti si dedicano a coltivare pomodori, melanzane e peperoncini, misurandosi con l’impegno comune, la fatica, i tempi della natura e la soddisfazione di vedere germogliare e crescere i prodotti del proprio lavoro
23 settembre 2013
ROMA – La zappetta che batte sul terreno, l’acqua che scorre goccia a goccia, gli insetti che ronzano. Non fosse per il rumore della metropolitana a intervalli regolari ci si potrebbe dimenticare di essere in un fazzoletto di terra chiuso fra le costruzioni del quartiere San Paolo di Roma. “Ma no, è qui che devi ripulire il terreno: non vedi che quelli non sono ortaggi ma erbacce?”. Gli ospiti del centro diurno di salute mentale stanno già preparando l’orto per l’autunno. Piantano i germogli di cavolo negli spazi liberi, mentre si conta quanti barattoli di pesto potranno venire fuori dalla foresta di basilico che è cresciuta durante l’estate.
A dirigere le operazioni c’è Gianluca Ciampi, agronomo della cooperativa San Michele, esperienza decennale in orti terapeutici per vari tipi di comunità. Con lui i genitori dei ragazzi, gli operatori della cooperativa, la tutor del progetto Enrica Rossi, e Gianfranco De Carlo, l’infermiere che, mentre sistema gli attrezzi e controlla la chiusura dell’acqua, tiene d’occhio la situazione e dispensa consigli e rassicurazioni. “Qui imparano a lavorare in gruppo, si confrontano con un impegno che deve rispettare i tempi e i modi della natura – racconta -.Misurarsi con un progetto, provare la fatica ma anche la soddisfazione di vedere e mangiare i prodotti del proprio lavoro, ha un effetto educativo fondamentale“.
“I centri diurni si sono molto trasformati da quando sono nati negli anni ’90 – spiega Ornella Ugolini, la psicologa responsabile del centro -, se prima l’idea era quella di un luogo protetto dove passare il tempo, ora l’obiettivo è rispondere alle esigenze esistenziali degli ospiti, aiutarli a trovare un’autonomia personale, nel lavoro, sostenerli nell’inserimento sociale”. Così quelli che una volta erano semplici laboratori per passare il tempo, dal cucito alla pittura al giardinaggio, ora diventano esperienze lavorative vere e proprie, insieme alle cooperative di tipo B che gestiscono i servizi. I prodotti dell’orto, nato tre anni fa, sono cucinati nella organizzatissima cucina certificata del centro, dove preparano i pasti per la Comunità terapeutica riabilitativa e fanno servizio di catering. Ora vogliono aggiungere al piccolo terreno dedicato all’orto anche un’area, davanti alla finestra della cucina, per fare l’aiuola delle erbe aromatiche.
“I centri diurni romani sono un caso unico di finanziamento anche da parte del Comune, non solo dall’Asl – spiega Ugolini -: i maestri d’arte dei vari laboratori non sono personale sanitario, ma ugualmente fondamentali per il funzionamento dei progetti”. La struttura è colorata e allegra, circondata da un giardino rigoglioso: “Ci sono le piante tintorie, per creare gli estratti per dipingere”, spiega De Carlo. Mentre sistemano il terreno i ragazzi chiacchierano di calcio e degli ultimi avvenimenti della zona, un attacco vandalico al parco della Garbatella: “Bisogna essere matti per colpire gli alberi”, commenta perplesso uno dei ragazzi, “Le piante ci danno colore, ossigeno, ombra, solo cose positive”, aggiunge il suo compagno di zappata.
Gli ospiti accedono al Centro diurno attraverso la proposta dell’equipe curante del Centro di Salute Mentale, che elaborano un progetto terapeutico individualizzato. Diverse attività sono rivolte all’apertura verso l’esterno, dalle rassegne di cinema nelle scuole al trekking, ai viaggi in Africa con organizzazioni non governative che si occupano di educazione alimentare. “Il centro non deve essere un recinto indiano, con il rischio di ‘passivizzare’ i pazienti -continua l’infermiere -. Ognuna delle attività può far emergere le risorse interne delle persone, permettere di ricostruire la fiducia persa col la malattia, secondo i nuovi indirizzi della psichiatria. Nell’orto devono necessariamente lavorare in squadra, superando le frizioni quotidiane, affrontare anche la frustrazione di dover aspettare i tempi naturali, impegnarsi in prima persona perché si raggiunga un risultato, lavorare in un ambiente misto fra pazienti e non”.
Altri centri dedicati alla salute mentale utilizzano lo strumento del rapporto con la natura, ma spesso si tratta di laboratori di giardinaggio, mentre c’è una struttura storica a Castel di Guido, così come le aziende agricole che inseriscono lavorativamente persone svantaggiate, come a Castel di Decima. Anche nel resto d’Italia si sta diffondendo questa pratica, che pare avere buoni effetti terapeutici, soprattutto fra Piemonte e Trentino, ma non esiste uno studio o una costruzione complessiva di questo tipo di progetti. (Elena Filicori)
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